JET

"Di questi tempi tutti parlano di rock; il problema è che si dimenticano del roll." Quanto deve amare i Jet Keith Richards (che fece questo commento in riferimento alla musica rock post-anni '90. Fanno rock come se non ci fosse futuro eppure riescono a metterci una buona dose di roll come facevano i grandi del passato. Come dimostra il loro album di debutto, "Get born", a questo quartetto di Melbourne, Nic Cester (chitarra/voce), Chris Cester (batteria/voce), Cameron Muncey (chitarra/voce), Mark Wilson (basso), piace tutto ciò che del rock c'è di rozzo, primitivo, diretto e senza fronzoli. Come tutti i gruppi migliori, fanno risalire le loro influenze alla fonte.



«Credo che siamo sempre stati interessati alle radici della nostra musica - spiega Chris - Volevamo dare un'occhiata oltre gli anni settanta e sessanta e scoprire da dove veniva quella musica. Ecco perché in concerto facciamo una cover di "That's alright mama" di Elvis. Ci viene naturale.»



I Jet sono intrisi dell'essenza del rock. Come i Kinks, gli AC/DC e gli Oasis prima di loro -tutti nomi influenti sulla musica della band - hanno nei loro ranghi due fratelli fotogenici (Nic e Chris Cester). Il nome lo hanno preso in prestito dal consumato successo post-Beatlesiano del 1973 di Paul McCartney, mentre "Dirty Sweet", il loro E.P. di debutto per la Rubber Records, è un omaggio ai T-Rex, dove "Move on", la bellissima ballata acustica, è la canzone che i Faces sono sempre stati troppo ubriachi per scrivere. Ma è quello che ti succede se il primo album che ascolti nella tua vita s'intitola "Abbey road".
«I miei genitori avevano alcuni dischi davvero brutti - spiega Chris - ma quello è sempre stato tra i miei preferiti. Sedevo per terra picchiando i cuscini del divano con le bacchetta al ritmo di "Mean Mr. Mustard". Formammo un'intero gruppo immaginario, dove suonavamo la chitarra con le racchette da tennis e ci esibivamo dal vivo. Mi sembra di ricordare che ci chiamassimo The Boys.»



Furono queste fantasie che fecero nascere i Jet. Come Liam Gallagher sostiene che i BRMC meritarono di fare da spalla ai primi concerti degli Oasis perché "osavano avere il look di una band rock'n'roll" allo stesso modo i Jet hanno un'idea talmente chiara della musica rock che può essere venuta in mente solo a chi è cresciuto in Australia a cinquemila miglia dal resto del mondo. Dove i gruppi americani e britannici obbediscono ai capricci dei media, che considerano, sotto certi aspetti, passati i pilastri del rock (i Beatles, i Rolling Stones), i Jet portano con sé una lucidità e una freschezza che derivano sia dalla loro giovane età sia da una totale sconsideratezza tipicamente australiana. I Jet non conoscono le regole e anche se le conoscessero, le infrangerebbero.



Gli inizi. Cresciuti nella periferia di Melbourne con una dieta ferrea di rock classico, i fratelli Cester (il ventiquattrenne Nic è tre anni più grande) videro il disastro profilarsi all'orizzonte. Una terribile sciagura stava per colpire i giovani della periferia di Melbourne. Il grunge.
«Non sopportavo quella roba - dichiara Nic - per me era vera musica con cui tagliarti le vene. Non aveva nulla a che fare con l'idea di rock'n'roll che avevo per la testa. Ero cresciuto adorando gli Who, gli Easybeats, i Faces e gli Stones e questi tizi stavano conducendo la musica in un luogo in cui non volevo andare. Non ti davano quelle emozioni che ti danno tutti i grandi gruppi rock. Gli ultimi sono stati gli Oasis.»



Un lungo pellegrinaggio nelle caverne del circuito live di Melbourne fece seguito. «A quei tempi pensavamo che non saremmo mai riusciti ad uscire da quella scena - spiega Nic - ecco perché canzoni come "Radio song" hanno quel certo feeling di rassegnazione. A quei tempi era inimmaginabile che una band come la nostra avrebbe ottenuto anche il minimo successo.»



Come spesso succede, il tempismo è la chiave di tutto. Portando tra i loro ranghi l'allampanato bassista Mark Wilson e giurando di "diventare seri", i primi concerti dei Jet coincisero con il successo globale dei Vines, gli eroi locali. Con deliranti A&R ai loro piedi e la recensione del NME di "Take it or leave it", il singolo di debutto, descritto come un ibrido tra "i Rolling Stones e il rock da stadi degli AC/DC", la band fu felice di firmare con l'Elektra, casa del più classico rock americano.



"Get born" ne è il risultato. Prodotto da Dave Sardy (Dandy Warhols, Marilyn Manson) ai leggendari studi Sunset Sound di Los Angeles, "Get born" ci riporta ad un rock al meglio della sua onestà, aggressività e spontaneità. Brani come "Get what you need", "Are you gonna be my girl" (il primo singolo), "Get Me Out Of Here" ti colpiscono diritti come prima riuscivano a fare solo i Ramones. Altrove, con "Look What You've Done" (scritta da Nic), l'elegiaca "Radio Song" e "Lazy Gun", un involontario omaggio alla ELO, ci portano alla mente la nostalgia dei tempi andati, dai Badfinger aTodd Rundgren. E i testi sono sufficientemente succulenti da essere paragonati a quelli dei leggendari rockers australiani The Saints. Quando Nic grugnisce "So che non abbiamo molto da dirci" in "Are you gonna be my girl" o "Balla piccola deejay, dai, balla" in "Rollover DJ", si possono quasi sentire le ginocchia femminili tremare e dieci anni di gavetta nei club sbocciare rigogliosi.
«Volevamo realizzare un disco contemporaneo - dichiara Chris - e non volevamo neppure fare un disco rock monodimensionale. Gli album dovrebbero essere in grado di riflettere tutti i lati della tua personalità, ecco perché in questo ci trovate canzoni come "Timothy" e "Radio song". Vorremmo che l'ascoltatore provi le stesse emozioni che prova quando ascolta un disco come "Goat head soup". Ci sono dei momenti tranquilli ed altri dove vuoi semplicementi scatenarti.»



A dimostrazione del loro successo, a metà delle registrazioni dell'album arrivò una chiamata dal management degli Stones, che offrì ai Jet di aprire i concerti australiani del tour mondiale della storica band britannica. Chiaramente, i Jet sono sulla strada giusta.



«Mi piace l'idea di dare a "Get born" due significati - aggiunge Chris in chiusura - come "Rubber soul". Principalmente è un invito a dimenticarsi dei propri problemi e a cogliere invece l'attimo. È un rifiuto di tutte quelle sensazioni negative e deprimenti che uno può provare. È una cosa che viene dal cuore, che poi è la fonte principale di tutta l'energia che si sprigiona nella nostra musica.»



La scelta spetta a voi. O, come dice Nic in "Take it or leave it":«È meglio che ti basi su quello che sai/Faresti meglio a muoverti/Se non sai cosa fare, eccoti il ritmo.»

 
 
 
 
 
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