MIGUEL BOSE'

Sappiamo che esistono angeli che visitano l’inferno e diavoli che abitano in cielo. Sono pochi, però, quelli capaci di farlo con tanta squisita naturalezza. Sono pochi coloro che, pur appartenendo a tanti mondi diversi, sanno di vivere in mezzo a noi, con tutto il loro fascino e le loro difficoltà. Miguel Bosé è uno di questi.

Cosa si può dire di una persona che, sangue a parte, è l’esito dell’arte benedetta e maledetta che lo ha generato? Poteva finir tutto in un terribile incubo di fatalità e aspirazioni, perfetto esempio d’un uomo celebrato per i suoi talenti che non si cura di nascondere le proprie debolezze. Innanziutto, stiamo parlando della progenie di un torero galante, dotato di un’impareggiabile abilità nel trovare il perfetto equilibrio fra coraggio ed eleganza: nell’arena Luis Miguel Dominguín. Il maestro capace di fermare il tempo, di ammansire i tori con naturalezza e di far sì che lo cingessero in vita, perché anche le bestie feroci s’innamoravano di lui. Come accadeva alle donne più coraggiose e straordinarie, tra cui Lucía Bosé, la donna più bella d’Italia, il che a quei tempi voleva dire la donna più bella del mondo: aveva una presenza capace in ogni film di bucare lo schermo.

Aggiungiamo ora al tutto l’educazione di Miguel, fra il lusso e la cultura che si respiravano in mezzo ad attori, scrittori e pittori famosi e unici al mondo. La grande qualità che ha connotato Miguel fin da bambino è che non si è mai conformato a nulla: è un ribelle di natura. Durante la sua infanzia apparentemente privilegiata, egli si è sempre messo alla prova, con un’inquietudine capace di portarlo ben oltre lo specchio delle apparenze, che di fatto ha spezzato. Ha aperto porte, spogliato corpi, esplorato labirinti. S’è fatto beffe degli ostacoli, che pur da audace non ha disdegnato. Nessuno può sperare d’ottenere di più di uno che sa giocare d’azzardo, e non esita a farlo.

Nei primi anni ’70, Miguel studiò danza con Lindsay Kemp a Londra, con Martha Graham a Parigi e con Alvin Ailey a New York. Tutto ciò contro la volontà del padre, che non vedeva di buon occhio le inclinazioni musicali di Miguel, anche se, col tempo, il torero sarebbe finito per diventare il suo più fervido ammiratore. Fu a questo punto che Miguel decise di cambiare cognome, da quello di suo padre, Dominguín, a quello della madre, Bosé. Quando si esibì per la prima volta in “Linda” per lo spettacolo televisivo di José María Iñigo (“Esta Noche Fiesta”, 1977) fu evidente che era nata una stella, subito pronta a trasformarsi in un fenomeno di massa. A quei tempi, Miguel era un adolescente dalla bellezza efebica, che Visconti volle ritrarre offrendogli il ruolo di Tazio nel film “Morte a Venezia”. Bosé sedusse il pubblico con il suo fascino e la sua fresca ambiguità, capace di commuovere i fan con canzoni come “Mi libertad”, “Anna” o “Super-Superman”…

Bisognava attendere gli anni ’80 perché Bosè, sull’onda della libertà e dell’inventiva che che coinvolse tutta la Spagna, cominciasse a trovare i fondamenti del proprio stile. Erano anni di cambiamenti e Miguel non desistette dalla sua inquietudine. Con l’album “Miguel”, segnò un punto di svolta nel suo percorso creativo, grazie a canzoni dello spessore di “Te amaré”, mentre continuava a crescere e la sua voce maturava. Non ebbe dubbi nel vestirsi come un matador per la copertina dell’album, in segno di omaggio verso suo padre. Miguel continuò a riportar trionfi come un torero, nel tour attraverso la Spagna, l’Italia, la Francia e l’America Latina, con spettacoli grandiosi e la vendita di milioni di copie dei suoi dischi. Tuttavia, il suo anticonformismo e sperimentalismo continuarono… Erano i giorni e le notti effervescenti della Movida Madrileña e, dopo l’incomprensione seguita all’album “Más allá” e il suo ritorno al successo con “Bravo muchachos”, non esitò a collaborare con gli artisti emergenti dell’avanguardia, come il suo amico d’infanzia Carlos Berlanga proveniente da “Alaska y Dinarama”, i fratelli Auserón di “Radio Futura”, o i fratelli Cano di “Mecano”: in questo contesto creativo registrò “Made in Spain”. Nel frattempo, Miguel continuava anche a coltivare la sua passione per l’Italia, pubblicando l’album “Milano-Madrid”.

Il momento era maturo per la sfida di un nuovo Miguel, riapparso con rinnovata audacia e pronto a sorprendere con un sensazionale cambio di rotta nella sua carriera. Contro il parere della sua etichetta discografica e in combutta con il produttore Roberto Colombo, conosciuto nel 1983, rischiò la sorte in una scommessa straordinaria. Il suo nuovo album si rivelò un capolavoro, punto di riferimento e simbolo della sua vibrante maturità, colma di emozionante lirismo e carica ribelle. Con “Bandido” (pubblicato nel 1984), cominciò il gioco dell’”indefinibile”, sfoggiando per la copertina del disco un abbigliamento da erede stilistico di David Bowie. Giunse a scandagliare le emozioni, scrivendo canzoni di straordinaria intensità. Si lasciò crescere una corta barba, indossò una gonna e sconvolse la scena musicale con una rivoluzione artistica di cui ai tempi era difficile immaginare la portata. Era nato un nuovo Bosé, magico e misterioso, con uno spirito irresistibile. La sua opera mescola umorismo, sapienza e passione. Sui ritmi dei suoi “huracán abatido” e “corazón malherido” (parole che compaiono nella strofa di una delle canzoni più famose di Miguel), l’angelo si è tramutato di nuovo in diavolo, stregando il pubblico con uno scrigno di trucchi magici. Miguel ha saputo convincere tanto ammiratori quanto detrattori con un lavoro di magistrale ispirazione.

Nessuno spirito selvaggio si rassegna ad essere vinto dal successo: perciò Miguel ha continuato le sue trasformazioni e i suoi esperimenti sul filo del rasoio. Sebbene sia sempre stato fedele a se stesso, le sue infinite metamorfosi lo hanno condotto attraverso avventure sempre nuove e sensazioni mutevoli, come si può apprezzare in album quali “Salamandra” o “XXX”, pubblicati fra il 1986 e il 1987 e nel post-modernismo degli anni ’80, quando sembrava che tutto il possibile stesse giungendo a termine. In quegli anni, Miguel compose canzoni indimenticabili, come “Nena” o “Como un lobo”. Una volta ancora, ha deciso di mordere la vita, con tutti i suoi segreti.

Gli anni ’90 e la fine del secolo sono arrivati con tutto il loro carico di crisi emotive e spirituale: un nuovo mutamento e il desiderio di emergere ancora, notti folli, libero sfogo alle emozioni, un nuovo inizio, fra gioco e sensibilità, per qualcuno la cui pelle era già stata ben temprata. La cosa migliore da fare in quel momento era ricavarne motivo di divertirsi e Miguel trasformò “Los chicos no lloran” (1990) da esperimento scherzoso personale in un clamoroso successo commerciale. Allo stesso tempo si alternava fra la scena musicale e quella cinematografica, facendo la sua apparizione in film come “La reina Margot” e “Tacones lejanos” di Pedro Almodóvar. (Anche se il cinema può sembrare un’attività marginale nella sua carriera, occorre ricordare che Miguel vanta una filmografia piuttosto estesa). Accostandosi ad un’età ambivalente, oscillando fra casualità e introspezione, ha realizzato un lavoro davvero interessante, Bajo el signo de Caín” (1993), affascinante storia della virtù punita di uno straniero in paradiso. In seguito, il suo pubblico rimare stupito dell’audacia di album come “Labirinto” (1995), o “Once maneras de ponerse el sombrero” (1998), che comprendevano splendide rivisitazioni di classici della musica latinoamericana. In questa fase della propria carriera, un creatore e interprete inizia a valutare e comprendere se stesso e la propria crescente freschezza d’inventiva che sorpassa il tempo. Con queste riflessioni Miguel ha intrapreso con Ana Torroja, chiamata “Girados”, un tour di rara bellezza e ha portato avanti le sue ricerche con album come “Sereno” (2001), che racchiude la provvidenziale canzone “Morena mía”, il romantico “Por vos muero” (pubblicato nel 2004) o il suo lavoro più sperimentale ed elettronico “Velvetina” (2005). Oggi Miguel Bosè è considerato non solo un artista mainstream, ma anche un maestro dei regni segreti e dei sentimenti degli individui. Ha scoperto lo strano ritmo della saggezza.

Ora, nel 2007, Miguel volge lo sguardo indietro, per figurarsi il futuro.

In “Papito” trasforma quattordici canzoni che appartengono al suo passato e al suo presente per mostrare ciò che ancora deve avvenire. A queste si aggiungono due brani del repertorio di altri artisti ricantati in duetto con Mina (“Agua y Sal”) e Noa (“La Vida Es Bella”).

A giorni inizierà un tour mondiale nel quale il pubblico potrà scegliere il repertorio e la forza creativa che permetterà a Miguel di affrontare nuove tappe della sua carriera. Perché questo bandito ha ancora parecchi assi nella manica.

 
 
 
 
 
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